Words on the Word
Epiphany
Isaia 60:1-6: Ecco, le tenebre ricoprono la terra.
Efesini 3:2-3a, 5-6: I Gentili sono chiamati a formare lo stesso corpo.
Matteo 2:1-12: Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia.
Un’occhiata data ai giornali basta per farcelo costatare: le tenebre che, nei giorni d’Isaia, ricoprissero la terra non sono svanite. Quando ci accorgiamo delle urgenze politiche, etiche, ecologiche che pesano sul mondo d’oggi, creando ansie che si insinuano ovunque, l’imagine di una nebbia fitta avvolgendo le nazioni è di pertinenza disturbante. Non è un eccesso retorico; descrive il mondo come è, come noi lo percepiamo. La domanda si pone: come credere in una bontà salvificamente luminosa in un mondo rimasto buio?
Proprio all’Epifania importa riconoscere le contraddizioni che segnano finora la nostra vita di fede. Solo così ci riconosceremo solidali coi Magi, protagonisti dell’odierno vangelo, che altrimenti sarebbero apparsi come personaggi da fumetti. Qualche anno fa, mentre stavo a Maria Laach, uno dei monaci mi fece visitare la Cattedrale di Colonia. Non avevo riflettuto sul patrocinio di cui gode questo splendido monumento gotico. Ero per conseguenza in un certo imbarazzo quando mi trovai, di colpo, di fronte allo scrigno in cui si preservano le reliquie appunto di Caspar, Melchior e Balthasar, i Magi, deposte lì nell’anno del Signore 1164. Che fare? Una riverenza? Un gentile sorriso per la naïveté dei vecchi tempi? Un cristiano moderno, che ha addirittura studiato teologia, si può permettere di credere siano autentiche? Saranno esistiti questi tre? Il momento di aporia è risultato utile per me. Mi fece capire che avevo fatto dei Magi, testimoni dell’incarnazione del Verbo, una astrazione. La realizzazione che avrebbero potuto lasciare—a Colonia o altrove, chissà?—tracce della loro esistenza mi provocò a rileggere con devota e critica attenzione la narrazione evangelica. I comportamenti dei tre viaggiatori mi hanno illuminato in modo inaspettato fino a riorientare, d’allora i poi, il mio percorso cristiano.
Secondo Matteo, i Magi, arrivati a Gerusalemme, dissero: “Abbiamo visto sorgere la stella dei re dei Giudei.” Avevano l’abitudine di osservare diligentemente il cielo notturno. Lo conoscevano abbastanza bene per rendersi conto quando apparse un corpo nuovo. Non erano solo astrofili. Erano uomini assetati di conoscenza che scrutavano le stelle per capire il corso del mondo, pronti a rispondere al visto con atti concreti, a lasciare il confort dell’osservatorio per seguire un movimento stellare percepito come una chiamata. Ecco una prima lezione di sapienza trasmessaci: le tenebre che ci opprimono, siano intorno a noi o dentro di noi, non sono per forza una maledizione che cancella le promesse dei profeti. La notte può anche sensibilizzarci alla luce. Chiunque abbia vissuto per un tempo in un ambiente senza illuminazione elettrica saprà che anche un piccolo fuoco domestico si può vedere, lì, tra lunghissime distanze, portando riconforto a chi è solo, chiamandolo a ritrovarsi intorno al focolare. D’istinto vogliamo fuggire dal buio o chiudere gli occhi per non vederlo. A volte è prudente far così. Altre volte però dobbiamo liberamente lasciarci circondare da esso, gli occhi aperti, per poter distinguere la nuova stella a cui è affidata la missione di guidarci verso Gesù dove nasce adesso per adorarlo.
Un secondo aspetto significativo: la stella appare ai Magi in oriente per metterli in moto, poi si eclissa. Avvicinatisi alla Giudea, non la vedono più. Sono costretti a chiedere indicazioni dagli scribi. La provvidenza di Dio, la manifestazione del suo volere, non ci priva dell’esercizio di ingenuità. La promessa della quale, secondo Paolo, i Gentili sono divenuti partecipi, è una promessa di libertà, di figli, non di schiavi. La volontà di Dio non ci asserve. Avendoci indicato la direzione da seguire, ci chiede di utilizzare il proprio discernimento. Anche lungo la strada giusta passeremo per tappe tenebrose, incerte. Non sono segni che Dio ci abbia abbandonati. Magari sono piuttosto segni della sua fiducia in noi, come se dicesse: “Hai tutto quello che ti serve per andare avanti, allora vai!”
Una volta indirizzati, per conto loro, verso Betlemme, la stella riappare ai Magi. Indica non soltanto il paese ma la stalla in cui l’epifania di Cristo li aspetta. Al vedere la stella “provarono una grandissima gioia”. Spesso, la gioia è la stella che Dio ci fa seguire. Noi esseri umani abbiamo una grande capacità di autoillusione. Nessuno però può far finta a lungo che sia gioiosi se non lo è. Quando ci sentiamo avvolti da nebbia, bisogna trovare una scintilla di gioia e seguirla. Se è autentica, il bambino e Maria non saranno lontani. Non dimentichiamo però: le epifanie di Cristo sono spesso di apparenza povera, come quella prima nella città di David. Ci vogliono sensi spirituali affinati per riconoscerle.
Qualche tempo fa, un caro confratello, monaco di più di 60 anni di professione, ha parlato di un periodo provante della sua vita monastica. Per anni aveva conosciuto la desolazione interiore: il senso di essere immerso nelle tenebre. Una notte, quando non ce la faceva più, stava alla sua finestra, disperato, pregando, “Signore, dammi un segno della tua vicinanza!” A quel momento preciso, disse, una lucciola apparse davanti ai suoi occhi, una luce insignificante in se stessa, ma a quel momento, media nocte, un faro brillante. Il suo cuore, triste da tanto tempo, si riempì di gioia, una gioia che non l’ha mai più lasciato. Siano i nostri occhi aperti per vedere il Signore come sceglie di venire a noi. Possa la sua luce riflettersi nel nostro essere perché diventiamo luce, alla sua gloria. Amen.