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Preface to Girtanner
This text is my introduction to the Italian edition, published on 19 January 2022, of a long interview conducted in 2006 by Guillaume Tabard, editor of Le Figaro, with Maïti Girtanner. I discuss Maïti’s testimony in my book The Shattering of Loneliness. You can find the Italian text of the preface at the bottom of this page.
Forgiveness is not natural. We human beings are wont to function in such a way that we keep a store of ills. One of Marilynne Robinson’s memorable characters, the rural pastor John Ames, remarks in the novel Gilead: ‘I have always liked the phrase “nursing a grudge”, because many people are tender of their resentments, as of the thing nearest to their hearts.’ It was ever thus. When the Lord God, in the book of Exodus, established the principle of ‘an eye for an eye, a tooth for a tooth’, it was not, as is often assumed, to sanction violent retribution, but to keep it within bounds in order, thus, to begin the moral instruction of mankind.
Forgiveness is of its nature gratuitous. It is bestowed as a gift, unconditionally. In Scripture, this kind of giving is referred to as ‘grace’. Grace is present and active in the Old Testament as a spiritual reality. In the incarnation of the Word it draws shockingly near. Its supreme image is Christ’s crucified Body, a scandal at the outset, a scandal now; that is, it was a scandal for as long as the cross meant something.
The dechristianisation of Europe is happening with baffling speed. The acquisitions of a thousand years can be lost within a generation. We see that clearly. One result is conceptual impoverishment. In a secular world, forgiveness seems absurd. Detached from the narrative that gives forgiveness meaning and allows it to inform shared experience, we revert to pre-Mosaic categories, that is, to the logic of Lamech: ‘If Cain is avenged sevenfold, truly Lamech seventy-sevenfold.’
Once ‘forgiveness’ is gone, ‘repentance’ goes, too. ‘Reconciliation’ is doomed. Left is a transactional scheme in which sin, which wounds through transgression and induces death, can no longer be ‘taken away’. It remains, clinging closely, in a static conception of the human condition that is infinitely melancholy.
How necessary, then, are accounts that speak with authority of the meaning and transformative potential of forgiveness, accounts apt to awaken faint memories of what it might mean to exist ‘by grace’. You hold in your hands one such.
Its subject, Maïti Girtanner, was an ordinary human being like you and me, with flaws like ours, but with a resolve that set her apart. She, who had suffered much, refused to make of her life a tragedy. She was committed to seeking good even in evil circumstances. She let her life be refashioned on foundations not of her choosing. Even in the midst of great loss, she was determined not to be a victim but instead ‘to vanquish the evil I carried within me, of which I was myself an accomplice’. By making forgiveness her life’s great task, she came to understand what it means to be forgiven. She emerges credibly as a woman made new, a woman whose life jubilates with the modulations of a ‘new song’ triumphant in its freedom.
May we, by picking up the echo of that song, be encouraged to let our own lives — and deaths — likewise sing.
Testo italiano
Il perdono non è naturale. Noi esseri umani di solito facciamo in modo di riservarci un buon deposito di mali. Uno dei memorabili personaggi di Marilynne Robinson, il pastore rurale John Ames, osserva nel romanzo Gilead: “Mi è sempre piaciuta l’espressione “covare rancore”, perché molta gente ha riguardo per i propri risentimenti, quasi fossero la cosa che più le sta a cuore”.
È sempre stato così. Quando il Signore Dio, nel libro dell’Esodo, stabilì il principio di “occhio per occhio, dente per dente”, non era, come spesso si pensa, per sancire una punizione violenta, ma per mantenerla nei limiti, al fine di iniziare così l’istruzione morale dell’umanità.
Il perdono è per sua natura gratuito. È elargito come dono, incondizionatamente. Nella Scrittura, questo tipo di elargizione è chiamato “grazia”. La grazia nell’Antico Testamento è presente e attiva come realtà spirituale. Nell’incarnazione del Verbo essa si fa concreta in modo sconcertante. L’immagine suprema della grazia è il corpo crocifisso di Cristo, uno scandalo all’origine, uno scandalo ancora oggi; almeno era così finché la croce ha significato qualcosa.
La scristianizzazione dell’Europa avviene con una velocità incredibile. Le acquisizioni maturate in mille anni possono essere perse in una generazione. Lo vediamo chiaramente. Fra i risultati c’e un decisivo impoverimento concettuale. In un mondo secolarizzato, il perdono appare un assurdo. Staccati dalla narrazione che dà senso al perdono e permette di dare forma a un’esperienza condivisa, torniamo alle categorie pre-mosaiche, cioè alla logica di Lamech: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette”.
Scomparso il “perdono”, scompare anche il “pentimento”. Pure la “riconciliazione” è condannata all’estinzione. Rimane uno schema transazionale in cui il peccato, che ferisce con la trasgressione e conduce alla morte, non può più essere “tolto”. Il peccato rimane, e ci assedia strettamente, in una concezione statica della condizione umana infinitamente malinconica.
Quanto sono necessari, allora, i racconti che parlano con autorità del significato e del potenziale trasformante del perdono, racconti atti a risvegliare vaghi ricordi di ciò che potrebbe significare esistere “per grazia”. Voi avete tra le mani uno di questi.
La protagonista, Maïti Girtanner, era un qualunque essere umano, come voi e me, con i difetti che abbiamo noi, ma con una determinazione che la distingueva. Lei ha avuto molto da soffrire, ma ha rifiutato di fare della sua vita una tragedia. Si era impegnata a cercare il bene anche nelle circostanze peggiori. Ha lasciato che la sua vita fosse riplasmata su basi che lei non aveva scelto. Anche in una grande sconfitta, era determinata a non essere una vittima, ma piuttosto (come scrive) a “sconfiggere il male che portavo dentro di me, del quale io stessa ero complice”.
Facendo del perdono il grande compito della sua vita, arrivò a capire cosa significasse essere perdonati. Emerge in modo attendibile come una donna nuova, una donna la cui vita giubila con le modulazioni di un canto nuovo trionfante di libertà.
Raccogliendo l’eco di quel canto, possiamo anche noi trovare il coraggio di far cantare allo stesso modo la nostra vita — e la nostra morte.