Ord Om ordet

Kyndelsmesse

There is an English translation underneath the Italian text

Malachia 3:1-4: Subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate.
Luca 2:22-40: Secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme.

Chiunque reciti regolarmente il rosario rimane colpito dalla simmetria che attraversa le quattro serie di misteri. Consideriamo, per esempio, il primo mistero di ogni serie: l’Annunciazione a Maria segna l’inizio della vita incarnata di Cristo; il battesimo nel Giordano segna l’inizio del ministero pubblico; l’agonia in Getsemani segna l’inizio della passione salvifica; la risurrezione dai morti segna l’inizio di una nuova umanità. L’impatto progressivo è forte. Capiamo che cosa vuol dire quando Gesù dichiara: Faccio nuove tutte le cose (Ap 21,25)!

In virtù della recita quotidiana della preghiera, si compie una sorta di accrescimento semantico, si avverte una sinfonia di voci in cui le parti diverse raggiungono un equilibrio, come in un mottetto rinascimentale. Si scopre sempre più la grazia sconfinata del dono di Cristo, della sua presenza in mezzo a noi, della sua vita in noi, nella misura in cui siamo aperti ad accoglierla.

L’evento che oggi celebriamo, la Presentazione al Tempio, è contemplato nel quarto mistero gaudioso. Nella contemplazione meditiamo sull’obbedienza di Maria e di Giuseppe alla Legge, sulla loro prontezza a restituire a Dio il Figlio a loro affidato. In quanto uomo, Gesù è offerto. In quanto Dio, egli prende possesso della casa che gli appartiene di diritto, come Malachia aveva profetizzato (Ml 3,1). La duplice natura di Cristo, pienamente Dio e pienamente uomo, al Tempio ci viene indicata visualmente.

Se passiamo al quarto mistero luminoso, questa prospettiva si estende. Sul monte Tabor, Cristo si rivela nella luce. Egli apre gli occhi dei discepoli alla realtà che avevano sospettata senza riconoscerla pienamente: il loro Amico è anche il loro Signore. Egli è la Presenza ardente davanti alla quale la natura umana quasi si scioglie, rendendosi conto dell’abisso ontologico che separa noi, creature di polvere, dal Creatore increato. Gli apostoli cadono a terra in adorazione e timore, finché Dio stesso nella sua gentilezza – nella sua filantropia, direbbero i Padri – non li rialza.

Il quarto mistero doloroso ci mostra Gesù che sale su un altro monte, il Calvario, portando su di sé la croce. Il Dio-Uomo appare nel suo aspetto più paradossale. Lo vediamo, con san Paolo, in condizione di servo, che non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spoglia se stesso fino alla morte, alla morte di croce (cfr. Fil 2,7-8). Anche questa è una sorta di Presentazione al Tempio. Nella lettera ai Romani, Paolo designa la croce come hilastérion (cfr. Rm 3,25), cioè altare di propiziazione. Oggi Gesù entra nel santuario non solo per essere riscattato come uomo, non solo per prenderne possesso come Dio, ma anche per esservi offerto come Agnello.

E se passiamo ai misteri gloriosi? Il quarto ci pone davanti l’assunzione di Maria. Il paradiso, di cui il Tempio materiale è una immagine, non è più chiuso all’umana natura. Cristo, unendo tutto in sé, non vi entra per rimanervi da solo; nel suo Corpo porta anche noi. Desidera che noi rimaniamo dov’è lui, che non si perda nemmeno uno di coloro che gli sono stati affidati dal Padre. Maria va per prima, a preparare la strada. E non è forse vero che la nostra idea di casa, del tornare a casa, è intimamente legata alla presenza accogliente, lì, di nostra madre?

Oggi, dunque, non solo accompagniamo Cristo nell’adempimento della prescrizione mosaica; abbiamo altresì un assaggio di quello che sarà il nostro destino eterno, se rimarremo fedeli alla chiamata di Dio.

Con parole meravigliose san Sofronio di Gerusalemme ci esorta: «Avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti la luce sfolgorante ed eterna» (Discorsi 3,6-7). È un riassunto compatto della vocazione cristiana. Possiamo solo rispondere, con gioia e fervore: “Amen, Amen!”.

English Version

Anyone who regularly prays the rosary will be struck, I think, by a strange, beautiful symmetry running across the four series of mysteries. We might consider the first mystery in each series, simply lining them up side by side: the Annunciation to Mary, marking the beginning of Christ’s incarnate life; the baptism in the Jordan, marking the beginning of his public ministry; the agony in the garden, marking the beginning of his saving Passion; and the resurrection from the dead, marking the beginning of a new humanity.

By virtue of daily recitation, these different perspectives merge in a kind of semantic accretion, or — if you like — in a symphony of voices, like the carefully balanced parts of a Renaissance motet. And we are drawn ever further into the boundless grace of Christ’s gift, of his presence in our midst, of his life in us, in so far as we are open to receive it.  

The event we celebrate today, the Presentation in the Temple, occurs as the fourth Joyful mystery. It has us meditate on Mary and Joseph’s obedience to the Law; on their readiness to give back the Son given them. As man, Jesus is offered. As God, he takes possession of the house that is his dwelling by right, as we read in the prophet Malachi. The twofold nature of Christ, fully God and fully man, is put before us. 

If we turn to the fourth in the series of Luminous mysteries, we find this perspective developed. On Mount Tabor, Christ reveals himself in light, opening the eyes of his disciples to a fact they may have suspected, but not yet fully owned: that their Friend and Master is also, in the strict sense, Lord. He is the Burning Presence before which our nature cannot stand. It must fall to the ground in adoration and awe, until God himself in his kindness — his philanthropy, the Fathers would say — raises it up. 

The fourth Sorrowful mystery has Christ ascending another Mount, that of Calvary, carrying his Cross. The God-Man appears to us here in his most paradoxical aspect. We see him, with St Paul, ‘in the form of a slave, not counting equality with God a thing to be grasped, but emptying himself unto death, even death on a cross’. This, too, is a Presentation in the Temple of sorts. In his letter to the Romans, Paul designates the cross as ἱλαστήριον, an altar of propitiation. We are subtly reminded that Jesus enters his sanctuary not only to be ransomed as man, not only to take possession of it as God, but also to be offered within it as a Lamb. 

And the Glorious mysteries? There, the fourth puts before us the assumption of our Lady into heaven. Paradise, of which the earthly Temple is an image, is no longer shut to man. Christ, ‘uniting all things in himself’, did not enter it alone; in his body, he carried us with him. His wish is that we should abide where he abides, that not a single one given him by his Father should perish. Mary went first, to make things ready. And is it not true that the notion of home, of coming home, is intimately, sweetly linked in our experience with the welcoming presence of our mother?

Today, then, we not only accompany Christ through the fulfilment of a Mosaic prescription; we get a foretaste of what will be our own eternal destiny, if we stay faithful to God’s call. In a wonderful phrase in this morning’s Vigils reading, St Sophronius of Jerusalem exhorted us: ‘Let us be shining ourselves as we go together to meet the light whose brilliance is eternal.’ That is a pretty compact summary of our Christian vocation. To it we can only say, ‘Amen, Amen!’

 

The illustration is Giotto’s account of the Presentation, from the Scrovegni Chapel.